Ron Gilbert torna a far parlare di se, e lo fa pubblicando un'avventura grafica che trasuda classicita' da ogni poro. Oggi siamo qui a presentarvi Thimbleweed Park
Ne sono passati di anni da quando, mouse alla mano, cercavamo di risolvere enigmi e indovinelli in Monkey Island unendo oggetti nell’inventario a verbi o azioni per cercare di far quadrare i confusi pensieri che giravano per la nostra testa. Sembra ieri eppure di anni ne sono passati e il media video ludico si è evoluto, e parecchio. Alcuni generi hanno cambiato così tanto aspetto che quasi si stenta a riconoscerli, pensate di avvicinare Monkey Island al Walking Dead di Telltale ad esempio, avventure grafiche entrambe ma con gameplay completamente differenti. In tutto questo marasma di mutamenti chi ti ricompare così, quasi all’improvviso? Ma Ron Gilbert che domande!
E con cosa se ne esce il nostro eclettico game designer? Con una campagna Kickstarter dove promette una nuova avventura grafica vecchio stile, ma proprio old school, raccoglie i fondi necessari ed oggi siamo qui a parlare proprio di Thimbleweed Park e di quanto ci ha fatto tornare indietro nel tempo.
Appena ci troviamo davanti alla schermata dei titoli di Thimbleweed Park facciamo un salto indietro nel tempo, un vero e proprio viaggio temporale, le lancette scorrono indietro di oltre vent’anni, il tempo sembra essersi fermato. Come scrivevamo nell’introduzione, Ron Gilbert aveva promesso un’avventura grafica vecchio stile, una sorta di nuovo Maniac Mansion e, possiamo dirlo subito, le promesse sono state mantenute. Tutte.
Già dai primi minuti di gioco ci si rende conto di quanto folle e ironico sia il mondo di gioco, con una cura dei dettagli e dei personaggi maniacale. Siamo a Timbleweed Park e un efferato delitto è stato commesso ai danni di un non precisato personaggio di cui seguiamo l’ingresso in scena fino alla prematura scomparsa. Sul luogo del reato intervengono quindi i primi due protagonisti della nostra storia, gli agenti Ray e Reyes, uno diametralmente opposto all’altro che fanno il verso ai ben più noti Mulder e Scally di X-Files. Ma non saranno gli unici personaggi giocabili, si perché questa volta il buon Ron ci mette nelle mani (e nelle menti) di ben cinque personaggi, ognuno col su carattere, con le caratteristiche e con il suo carisma.
Ogni personaggio da Ransome, un clown decisamente particolare all’ereditiera di una fabbrica di cuscini che ha lasciato l’azienda di famiglia per dedicarsi al mondo dell’intrattenimento e allo sviluppo di videogiochi. La storia prosegue per quindi ore cariche di cammei, richiami al passato e battute come non se ne vedevano appunto da oltre vent’anni. Ovviamente non vi sveliamo nulla della trama perché ogni singola riga rischierebbe di essere uno spoiler e non è nelle nostre intenzioni rovinarvi un’avventura più unica che rara di questi tempi.
Ron Gilbert non ha pensato di riproporre un’operazione nostalgia dal punto di vista della narrazione, dello humor e delle situazioni con Thimbleweed Park. E’ andato molto più a fondo e ha riproposto lo stesso identico modo di vivere le avventure punta e clicca di oltre vent’anni fa, uno ScummVM dei tempi moderni. Per chi fosse nato dopo gli anni 2000 forse non sa nemmeno di cosa stiamo parlando, ma per chi ha qualche anno in più sulle spalle probabilmente ha le lacrime agli occhi. In Thimbleweed Park il gameplay è infatti rimasto immutato rispetto alle classiche avventure LucasArts, dovremo ancora raccogliere gli oggetti, tenerli nell’inventario ed usare i verbi con elementi raccolti o cercare di combinarli o ancora utilizzarli con lo scenario per cercare di venire a capo delle soluzioni dei vari enigmi. Si, il sistema è rimasto lo stesso e ci ritroveremo ancora incastrati, esattamente come succedeva tanti anni fa, in alcuni punti, con la tentazione di andare a sbirciare la soluzione al problema perché sembra che quel problema non abbia una vera soluzione. Rispetto alle vecchie avventure grafiche qui però le cose si complicano un po’, in effetti avremo a che fare con cinque protagonisti (e quindi cinque inventari) con cui destreggiarci e con decine di oggetti, alcuni dei quali completamente inutili.
Non solo, già dopo la prima ora di gioco avremo a disposizione quasi tutta la mappa da esplorare e analizzare, insomma avremo addosso una quantità di informazioni non indifferente. Per venire incontro anche ai meno avvezzi agli enigmi e alle avventure grafiche in generale il buon Ron Gilbert ha però pensato bene di dare al giocatore una scelta chiara ad inizio avventura, si può infatti decidere se giocare in modalità “difficile” con tutti gli enigmi pensati dagli sviluppatori oppure se affrontare la storia in modalità “semplice” (perdendo quasi la metà degli enigmi) ma rendendo il gioco davvero alla portata di tutti.
Dal punto di vista del gameplay non c’è quindi niente da spiegare per chi ha vissuto di pane e avventure LucasArts, per chi invece non conosce niente del genere e vuole sapere come funziona Thimbleweed Park deve partire da un concetto molto semplice, durante il gioco troverete oggetti sparsi negli scenari, componendo questi oggetti o utilizzandoli su elementi a video potrete risolvere i vari enigmi. A differenza di quello a cui siete abituati però per far interagire i personaggi e gli oggetti nell’inventario avrete a disposizione dei verbi che vi permettono di “azionare” l’oggetto scelto. In questo modo legherete gli oggetti ad un’azione e, se l’azione è quella giusta, potrete proseguire nella risoluzione dell’enigma. Insomma è più difficile spiegarlo che farlo!
Non solo dal punto di vista prettamente ludico, Thimbleweed Park fa tornare i giocatori indietro di oltre vent’anni ma anche dal punto di vista grafico. La pixel art utilizzata nel titolo di Ron Gilbert infatti non è un stata fatta perché “va di moda”, ma è proprio parte integrante dell’esperienza di gioco. I fondali, i personaggi che incontrerete nella vostra avventura, le animazioni, tutto sembra uscito da una scatola di cartone degli anni 90.
Se lo mostrate ad un amico e non gli dite che state giocando ad un gioco del 2017 con tutta probabilità non vi crederà, ogni elemento sembra infatti essere stato pensato e programmato anni e anni fa, e questa è parte della forza di Thimbleweed Park.
Così come per la grafica, anche per il comparto audio vale lo stesso discorso, l’operazione di Ron Gilbert è stata curata fin nei minimi dettagli anche per quello che riguarda il sonoro e le musiche che vi accompagneranno durante la partita.
Thimbleweed Park è molto più di una semplice “operazione nostalgia”, è un vero e proprio canto del cigno delle avventure grafiche del passato, un tributo espresso con cuore e amore a quello che è stato un genere ormai scomparso (nella sua forma originale). La passione che Ron Gilbert ha infuso nel progetto è palpabile in ogni singolo pixel, e i continui cammei e riferimenti alle vecchie avventure grafiche sembra voler creare una ultima reunion per un Gran Finale, una festa dove i protagonisti sono i personaggi (o le situazioni) che tanto abbiamo amato da ragazzini. Assolutamente imperdibile per gli amanti delle avventure grafiche e da provare per chi non ha mai giocato un gioco simile.
Trama 9.00
Gameplay 9.00
Arte e tecnica 8.00
irriverente
divertente
forse troppo old school per alcuni